in una gola stretta fra due poggi, Cupramontana e Poggio Cupro, nascosto al punto che da nessuno dei luoghi prossimi si può vederlo c’é il monastero dei Frati bianchi
Gli eremiti che vennero qui chissà da dove e come per vivere in solitudine nelle grotte scavate nell’arenaria nella valle del Corvo avevano scelto bene. Ancora oggi il luogo è così appartato e segreto che non riusciamo ad avere indicazioni neppure dagli abitanti del paese vicino, ma troviamo lo stesso il modo di arrivarci e il cartello che lo indica e decidiamo che valeva davvero la pena di cercarlo l’eremo dei Frati Bianchi.
Certo che il luogo è suggestivo, il nome stesso di Cupra indica che qui gli antichi Piceni e umbri adoravano la dea Cupra, una delle Grandi madri adorate nell’antichità –
Dai dintorni non si vede niente anche perché un bosco, antico come ormai non ce ne sono più, copre tutto quello che in qualche modo potrebbe vedersi.
È un bosco che per almeno un centinaio di anni non è stato toccato; gli ultimi frati abbandonarono l’eremo intorno al 1927 e già da tempo, pochi di numero come erano, non dovevano tagliare molto. Così, rarissimo caso ormai, questo bosco ha vissuto una vita separata fuori del tempo presente… ed è tornato poco a poco allo stato primordiale.
Tronchi marcescenti, coperti di muschi, intrico di liane, vitalbe, edere, querce, pioppi altissimi… muschi, ortiche, ciclamini… Il tutto in un’ombra fitta nonostante il pomeriggio solatìo, pareti stillanti umidità e coperte da capelvenere e odore di bosco e anche rumore del torrente, il Corvo, che fiancheggia il sentiero e scende saltellando fra i sassi.
Per fortuna che non siamo venuti il giorno del FAI quando migliaia di persone erano qui… le folle secondo noi non si addicono agli eremi. La strada sale abbastanza ripida e poi ecco, all’improvviso si allarga in una piccola conca verdissima
Stanno ancora lavorando infatti nel 2000, dopo decenni di abbandono e di degrado, qualcuno ha acquistato i ruderi e ci ha costruito sopra un progetto iniziando a restaurare un po’ alla volta.
Finalmente si possono vedere le grotte dove i primi eremiti si rifugiarono e vissero a lungo dopo di che vennero i monaci Camaldolesi e l’eremitaggio diventò monastero e prese il nome dalle bianche vesti dei camaldolesi.
Quello che si può adesso vedere è bello e intrigante, il percorso per raggiungere il monastero é curato senza distruggere niente, dei primi eremiti sono ancora sono visibili le tracce e anche della vita dei monaci.

sull’architrave in cima alla scala la targa della fine del 1700 che racconta al viandante la storia dell’eremo
Di questi ultimi sono suggestive le tracce della vita quotidiana, di come i monaci avevano cura e rispetto dell’acqua e dell’ambiente… Lentamente, ad ogni visita si vedono i progressi del recupero che il gruppo che lo gestisce cerca di finanziare ospitando matrimoni e meeting di vario genere che certo godono di un’ambientazione così bella.
Per me impagabili sono le visite che facciamo quando non c’é nessuno, quando tutto il sito torna al silenzio e al raccoglimento che sono stati la sua caratteristica e la sua ragione di vita.